IL GIURAMENTO DI TERESA BELLANOVA E I (SOLITI) INSULTI SESSISTI

Il 5 settembre, che poi era ieri, Teresa Bellanova, neo ministra delle Politiche Agricole nel governo Conte bis, ha prestato giuramento. Era emozionata. Certo non come Paola De Micheli, che ha trattenuto a fatica le lacrime. Non teneva la mano sul petto, come Bonafede, non ha mandato a memoria il breve testo, come Speranza, ma le si vedeva in faccia che era emozionata. E quando ha firmato, non le sarà nemmeno passato per la testa di portare con sé la sua stilo personale, a differenza di Giuseppe Conte e il ministro Sergio Costa che le hanno prontamente sfilate dal taschino interno della giacca. Era moderatamente disinvolta. Non come il navigato Franceschini, ma era abbastanza a proprio agio. 


Del resto, non è nata ieri. Il suo curriculum parla di una lunga lotta al caporalato come tratto distintivo. Nata a Ceglie Messapica (Brindisi), lavora come bracciante già da adolescente. Si iscrive alla Cgil e diventa coordinatrice regionale delle donne federbraccianti in Puglia. Quindi, l’elezione a segretaria generale provinciale della Federazione dei lavoratori dell’agro industria e il passaggio alla Filtea, il settore tessile della Cgil, fino ad esserne segretaria nazionale. 
In politica, è nel Consiglio Nazionale dei Democratici di Sinistra. Eletta nel 2006 alla Camera dei Deputati (Ulivo), partecipa alla fase costituente del Partito democratico. Riconfermata alla Camera nel 2008 e nel 2013, è sottosegretaria nel governo Renzi nel 2014 e viceministra due anni dopo (Sviluppo Economico) nei governi Renzi e Gentiloni. 
Senza farla troppo lunga, arriviamo alla sua nomina a ministra delle Politiche Agricole.
Il suo curriculum ha la pecca del titolo di studio: la terza media. 
Per questo, per il colore del vestito, per l’aspetto e chissà cos’altro (la borsetta? Le scarpe? La messa in piega? Gli orecchini?), la ministra Teresa Bellanova è stata coperta di insulti sessisti. Non stiamo qui a ripeterli. Ci stanca già la sola idea di ripensarli.
Quindi, buon lavoro, ministra. E stop.

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