Giuseppe Conte e il ritorno del congiunto

Alla fine l’ha spuntata il congiunto. Nel senso del termine. Abbiamo appurato con un senso di sfinimento addosso che dopo una giornata di dibattiti e scontri, pareri e spiegoni, secondo me e secondo te, non si è riusciti a trovare quale sia la priorità più prioritaria di tutte della vita nella cosiddetta fase 2, perché chi sono io per dire alla vicina che la mia ceretta conta di più della toelettatura del suo barboncino, chi sei tu per dire a me che un negozio di dischi conta più di una libreria, chi è quell’altro per dire a te che la corsetta all’aperto è più sana di più di un panino alla mortadella al bar, e chi può mai dire se una visita al museo val bene una messa.

Accantonati i dubbi amletici di fine giornata dunque, resta quella parola: congiunto. Cosa mai avrà voluto dire il presidente Conte quando nell’annunciare la fase 2 che rispetto alla fase 1 aggiunge agli spostamenti all’interno della regione per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute, la possibilità di “spostamenti mirati per far visita a congiunti”? “Molti nuclei familiari”, spiega poi, “sono stati separati”. Quindi, si lancia in un elenco in cui cita genitori separati da figli, genitori con figli, nonni. Un qualche disordine lo si avverte, ma il senso comunque lo si capisce: è ora di andare a trovare i parenti. Purché le visite siano nel rispetto delle distanze di sicurezza, con le mascherine sui volti e il divieto assembramento. Insomma, “niente party privati” e, giusto per spiazzare ancora, niente ritrovi di famiglia. In che senso?

Ammettiamo che anche a noi di Noialtre l’espressione ha scatenato qualche critica accesa. Siamo alle solite. C’era da aspettarsela, la tipica uscita di un esponente del sistema patriarcale che guarda solo alla famiglia “naturale”. Ai legami di sangue sopra a tutto. Non poteva parlare semplicemente di affetti? Una task force apposita per partorire una così deludente espressione?

Eppure bastava ricordarsi di un Conte fa. Il Conte uno. Quel presidente del Consiglio che il giorno del discorso per chiedere la fiducia, nell’ormai lontano giugno del 2018, volendo esprimere solidarietà disse, rivolgendosi a Sergio Mattarella, testuali parole: “Vorrei qui ricollegarmi nel ringraziamento per il Presidente Mattarella perché una delle cose che mi hanno addolorato nei giorni scorsi è quando c’è stato un attacco sui social alla memoria di un suo congiunto che adesso non ricordo esattamente”. Graziano Del Rio, Partito Democratico, in quell’aula poi glielo ricordò urlando. “Si chiamava Piersanti, si chiamava!”.

Ecco, forse Giuseppe Conte, abbiamo pensato, ha qualche difficoltà con la definizione della parola “congiunto”. Forse per lui è un fratello, forse un familiare, forse un parente più o meno stretto. E in serata forse è anche uno, una, con cui si ha “un solido legame”. Che cosa siamo andati a pensare, noi di Noialtre, la comunità Lgbt, le femministe che addirittura mettevano in contraddizione la possibilità di ricongiungersi con un possibile (ex?) marito violento con la negazione di andare a trovare un’amica di cui fidarsi.

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