Femminicidi, morti sul lavoro e stragi di stato accomunate dalla negazione del diritto di essere

Mahmoud Sayed Mohamed Abdalia

Leggendo il fatto di cronaca che ha sconvolto la città di Genova ho ripensato immediatamente al testo di Carla Lonzi “Sputiamo su Hegel”. Inizialmente non riuscivo a coglierne il nesso. Non capivo perché sentendo la storia di Mahmoud Sayed Mohamed Abdalia, ragazzo che sembra essere stato ucciso dal proprio datore di lavoro e da un collega, avessi pensato a un testo tanto breve quanto complesso di una delle femministe più importanti della storia italiana. Ci sono voluti due giorni, e una rilettura di alcuni appunti per capire. Nel suo testo Lonzi manifesta la sua rabbia per il fatto che gli uomini della storia dell’umanità avessero speso tanto tempo a interrogarsi e ad agire per la lotta di classe senza soffermarsi nemmeno un secondo a pensare che, invece, la prima grande lotta da fare per eliminare le disuguaglianze fosse ragionare sul rapporto tra uomini e donne: il primo vero concetto di proprietà, quello che l’uomo ha affibbiato alla donna iniziando a definirla sua. Quando è iniziato questo processo? Nell’antica Grecia, con le prime leggi in tema di adulterio emanate da Draconte nel VII secolo a.C. In poche parole veniva inserito quello che l’Italia ha conosciuto fino agli anni 80 come “Delitto d’onore”. Quasi 3000 anni di storia, un’infinità di pensatori, e abbiamo dovuto aspettare gli anni ’70 per aprire a questo tipo di riflessione. Cosa c’entra Lonzi con quanto successo a Genova? Mi ha richiamato alla mente il tema della proprietà. Il fatto che alla base delle teorie marxiste sulla lotta di classe ci fossero alcune fondamenta hegeliane che vedevano nel padrone la riproduzione del servo. Il padrone era, a suo dire, il vero servo poiché dipendente dal lavoro manuale di chi dipendeva da lui. Il padrone, incapace di impagliare una sedia, non era niente senza il servo che lavorava per lui. Marx riprese questo concetto lanciando le basi per la lotta di classe di cui ancora oggi, purtroppo, sentiamo parlare. Purtroppo poiché sarebbe bello non doverne più sentire ed essere arrivate al punto in cui concetti come “classe” e “proprietà” fossero superati.

Invece no. Siamo ancora qui. E a questo delitto, raccapricciante, in cui un datore di lavoro, con un collega, decide di uccidere un dipendente che vuole semplicemente recedere legalmente da un contratto, si aggiungono 3 femminicidi, più o meno negli stessi giorni. 3 che portano il numero delle vittime di quest’anno a 70. Una strage silenziosa, accompagnata da un’altra strage: 389 vittime sul lavoro nel 2023, a cui se ne aggiungono 112 morte in itinere. Cosa accomuna tutto questo? La pretesa che alcuni hanno che le nostre vite possano essere di qualcun altro. E questo è quello che dovrebbe accomunare ogni lotta. La pretesa che il corpo e la vita siano nostri, solamente nostri.

E in questo giorno di stragi, un pensiero non può non andare anche alle 85 vite spentesi alle 10.25 del 2 agosto dell’80. Perché alla fine ogni vita strappata dal sistema è una vita strappata alla propria autodeterminazione.

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