NoiAltre visita Fiorucci

Che faccio, vado o resto a casa?, ci chiedevamo ieri mattina. A casa a fare poi cosa? Tempo libero e atmosfericamente sereno ce n’è – il gelo? Dai su, tempra -, la mostra chiude il 6 gennaio, che aspettiamo? Si va. Trenino regionale ma veloce Bologna-Venezia preso al volo e via, verso nuove gite fuori porta. Quella di ieri si chiama “Epoca Fiorucci”. A dirla tutta qualche titubanza la avevamo. Di quel grande vento libero e trasgressivo della Swinging London avvertivamo solo qualche spiffero, quindi andare a rovistare nella mente di un creativo che quel vento ce lo portò già a fine anni Sessanta, ci ha fatto sentire un po’ le provincialotte che provano a mettere il naso fuori casa ma le sgamano subito. Ne è valsa la pena? Sì. Non è il caso di ricordare gli abiti, gli angioletti e i nanetti, le foto, i cuori, i neon fucsia, gli arredi, i cimeli, le collaborazioni, l’universo immenso di Fiorucci e persino Keith Haring e Basquiat e Toscani e Dorfles che diceva “ha affidato ai modi della moda il suo messaggio e il suo essere nel mondo”. A convincere e a commuovere noi di Noialtre, sono i visitatori. Certi visitatori. Come quella mamma con figlia e amichetto della figlia più o meno sedicenni. Lei li istruiva cercando di controllarsi. “Vedete – indicava come davanti a un quadro – io di quelle magliette lì ne avevo a righe di diversi colori”. “Era un po’ provocatorio, certo, ma…”. Cita Keith Haring. “Lo riconoscete? Sapete, erano amici! Poi lui è morto giovane…”. I due fanno sì con la testa. Lei incalza. “Voi adesso pensate che tutto ciò sia feticcio. No! Era liberazione!”. L’espressione dei ragazzi diventa interrogativa-preoccupata. Sembrano chiederle “Tutto a posto?”. Ecco, lo spirito per vedere una mostra così dovrebbe essere questo. Noi attorno agli angioletti e i nanetti, alla “Love therapy” e le giacche “100% plastica” abbiamo girato più volte. E non pensate siano feticci.

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