Lo strano destino del tormentone nell’estate a porte chiuse

La scienza vuole rigore, e di rigore andrebbe applicata al tormentone. Allora, che fare? L’estate 2020 in spiaggia somiglia a una partita di calcio a porte chiuse. Mentre si discute ancora se sia il caso di riaprire il campionato pallonaro, inchiodati a dilemmi del genere “come festeggio se faccio gol visto che non posso saltare addosso al compagno di squadra”, il decreto rilancio è sottoposto agli ultimi (o penultimi) aggiustamenti. Dove eravamo rimasti? Più o meno a disquisire se sia il caso o meno di tuffarsi in acqua perché appare evidente che se non sai nuotare come Federica Pellegrini o Gregorio Paltrinieri, meglio non arrischiarsi. Visto mai che succede l’irreparabile e nemmeno una respirazione bocca a bocca ci salva visto che è vietata.

Sulla distanza poi tra ombrelloni, tavoli al ristorante, in fila per il gelato, la pizzetta, la cassa, altro questionare. Cinque metri? Quattro metri? E i lettini? Quanto? Come la mettiamo con l’ombra che verso il tramonto si allunga, fa osservare giustamente qualcuno. Qua una cosa va detta: la scienza, come la matematica, non è un’opinione. E ci chiediamo: in una fase come questa in cui il senso di responsabilità non deve venire meno, non vi balena in mente che tra tanti accorgimenti, consigli, divieti, distanze, entrate contingentate, sanificazioni, disinfettazioni, turni e orari rigidi di ingresso neanche fossimo a teatro o a scuola (ah no, quelle due parole ancora no), una parola sia la grande assente?

Eppure esiste. È il tormentone, appunto. Piaccia o no, esiste dal 1962, quando Nico Fidenco spopolò con “Legata a un granello di sabbia”. Sanremo prese una cantonata escludendola e lui si rifece nella calda stagione con gli interessi. Da lì, una storia di amore e odio. Un po’ per ognuno di noi. E se questa volta cambiasse tutto? Sì, perché in questa estate in cui la spiaggia è come uno stadio senza spettatori per la sua asetticità, non sarà che mancherà anche quello? Io me lo sono chiesta: come saranno, se ci saranno, i tormentoni nell’estate del 2020? Butteranno giù testi spinti, danzerecci, che fanno tanto estate ma anche assembramento, o ci si manterrà cauti, e però che tormentone è? Ora, qualcuno dirà che è meglio così. Sicuro. Sono solo canzonette. Salvo poi ricordarsi di quel pezzo che gli/le ha ravvivato chissà che momento e ci ripensa. E poi, l’industria discografica è piegata (e qui non c’è niente da stare allegri). È guardinga, aspetta, si affaccia, si ritrae. Che non sia meglio adattare i tormentoni di un anno fa? Così, per gioco.

Poco rischio, successo (quasi) assicurato. Prendiamo “Dove e quando” di Benji & Fede. Nel video ci sono loro due a distanza ultrasicura abbarbicati sulle rocce, le ragazze prima ballano da sole, e semmai è da modificare l’ultima parte quando sono tutti insieme. Questione di poco. Il testo è ok, il ricongiungimento è sdoganato, basterebbe giusto ritoccarlo quando mette in mezzo il treno – “E se il tuo treno Passa una volta…” – magari con un versetto che suggerisca di prenotare e siamo a posto. Semaforo verde anche per “Muhammad Ali” di Marco Mengoni. Un inno alla vita, al rimanere in piedi, anche se le prendi. E se ripeschiamo il video ufficiale, la banda che suona sulle prime sembra una di quelle scene ritratte quando vogliamo far vedere che c’è assembramento, ma da una seconda ripresa dall’alto si vede che sono a distanza di sicurezza.

Promosso a metà invece “Ostia Lido” di J-Ax. Bene il testo, specie quando scoraggia a sognare Puertorico perché “se restiamo insieme sembra un paradiso anche Ostia Lido”. E insieme si può, in quanto congiunti o affetti stabili. Non ci siamo con il video, con tutta quella vicinanza tra gente sotto al sole stesa a terra che quasi si tocca e la discoteca in spiaggia la sera “che balla, che balla, che balla…”. Ecco, ballare ok, ma magari aggiungere “da soli”. Da bocciare, invece, “Jambo” di Takagi & Ketra, più Omi e Giusi Ferreri: troppi spostamenti tra Tanzania, Rwanda, Jamaica, la savana, troppi balli, per non dire del video in cui fanno le treccine a Giusi Ferreri senza protezione. Più innocuo sarebbe “Tequila e San Miguel”, ma a questo punto, se vogliamo parlare di Loredana Bertè, facciamo un salto indietro di una quarantina d’anni, fino a “E la luna bussò”. Era reggae come questa, ma nel 1979 aveva un altro sapore.

Troppo indietro? Macché, è un gioco, lo abbiamo detto. È dagli anni Sessanta, tra “I Watussi” e “Abbronzatissima”, “Stessa spiaggia, stesso mare” e “Tintarella di luna”, e via tormentando tra i decenni, tra “Gloria” e “Vamos a la playa”, “Un’estate al mare” e “Gioca Jouer”. Questa, sì, coi tempi che corrono, alcune di quelle dieci parole in croce del testo sarebbero da cambiare. A partire da “Starnuto”. Chissà come avrebbe riscritto oggi “Gioca Jouer” Claudio Cecchetto. Chissenefrega, direte. In fondo sono solo tormentoni. Già.

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