Le Cadavere Squisite sono Più di là che di qua (ma stasera suonano a Bologna)

Non sai mai cosa riserva un concerto delle Cadavere Squisite. Anche perché dire concerto è dire tutto e niente. I loro sono un po’ spettacoli, un po’ concerti, un po’ (molto?) altro. Il bello è che ogni volta è diverso. Per esempio questa serata, quando saliranno sul palco alla Fattoria Urbana del Pilastro a Bologna (19.30 o giù di lì, ma alle 18 si può già andare per gli Aperitivi Bestiali in Fattoria), sarà diversa dalla prossima. Che non si sa quando sarà, «perché passeremo l’estate a scrivere, a settembre uscirà un nuovo singolo e qua si va si singolo in singolo. Ogni tre mesi, uno». Seguitele, le Cadavere Squisite. Anche se stasera non riuscirete ad andare, seguitele. Intanto hanno fatto uscire l’ultimo singolo, “Più di là che di qua”, e già il titolo è un programma. Nel testo poi si nasconde quel tanto di surreale e inconcludente che cattura. Anche se non sai bene il perché. E loro te lo spiegano, ma poi capisci il giusto. Tanto che alla fine ti chiedi: se lo facessero apposta?

Loro sono Sara Brugnolo (voce), Raffaella Pirozzi (voce), Anna Schirru (ukulele, basso, voce), Bianca Ferricelli (chitarra acustica, voce) e Rita Felicetti (batteria, voce). Sono performer, attrici, cantanti, musiciste, clown, trapeziste. E quando l’altro giorno le abbiamo raggiunte al telefono, tutte e cinque hanno messo entusiaste il vivavoce, a volte parlava una alla volta, a volte un po’ insieme e non si capiva mica tanto chi parlava. Ma quel che conta è il senso. O il nonsenso. Comunque, dicevamo, questo “Più di qua che di là” lo hanno scritto, dice Rita, «sicuramente, se non sbaglio, durante il lockdown». Le altre confermano che è sicuramente durante il lockdown. «Ci sentivamo sempre e c’era questa voglia di sdrammatizzare le cose peggiori che ci succedevano, come poi facciamo sempre. La prima a darci l’idea è stata Bianca. Diceva spesso “mi sento più di là che di qua”, e da qui è partita l’idea».

«Lo sconforto ti prende, il pensiero può essere contorto, ma certo ha a che fare con la rinascita», fa Bianca. Del resto, il nome delle cinque performers «un po’ sceme, un po’ intellettuali» spiega molto. Nasce dall’ispirazione del vecchio gioco surrealista del Cadavere Eccellente (detto Squisito) consistente nel creare un unico testo a più mani in cui ogni partecipante ignora il contributo altrui.

Il loro “Manifesto dello Sbattismo” «un po’ spettacolo, un po’ concerto, un po’ Manifesto eternamente inconcluso», però, è tutto loro. «In questi tempi di terrorismo, maschilismo, trumpismo, darwinismo e aziendalismo le Cadavere, da un lontano aldilà oscuro, sentono un fervente bisogno di poesia. Si proiettano quindi al di qua, per dare voce a chi si sbatte, a chi se ne sbatte e a chi aspira a sbattersi». Questo dice il Manifesto, proposto «spudoratamente come sfogo dell’umanità, donando ciò che di più potente hanno da dare: verità». In scena, dunque, «cinque Sbattone, con i loro corpi, i loro strumenti musicali e le loro voci frullate in un dialogo tanto contemporaneo quanto surrealista, fuori da ogni schema grammaticale e apparentemente fuori da ogni logica». E si sottolinei apparentemente.

Tornando al nuovo singolo, «è un discorso liminare. Bisogna attraversare tutti i poli e bisogna star bene a tutti i costi. E più siamo cadavere, più siamo consapevoli di essere morte, e più viviamo felici». Qualcuno non la vede proprio così. «Io sono stata di là, non è vero che si sta così bene e sono tornata per dirlo», replica Raffaella “Raffy” (parafrasando il testo della canzone).

La Cadavere sono di base a Bologna. Ma si sta bene o si sta male? «Bologna era per studenti e ora è per il turismo. Omologazione, e se lo dico io che ho un b&b… – fa Rita –. Però c’è tanto sottobosco, dove siamo anche noi, e bisogna andare un po’ a cercare. Tanto qui è morto, ma tanto è vivo». Di sicuro «siamo dentro una grande instabilità. Dopo la pandemia è arrivata una guerra che ci mette in ginocchio, finisce una paura, ne comincia un’altra. Ne parliamo sempre dopo i concerti con le persone. L’instabilità che portiamo però può far bene». Più o meno, «a parte, leggermente, la bassista, siamo donne di mezza età». Ci hanno scritto anche un testo, “Crisi di mezza età”. «Sempre lì, tra adolescenza e anzianità».

Femministe? «Femminismo è una parola che ci piace, ne condividiamo le tematiche. Quello che non ci piace è quando ci chiamano “band femminile”. Ancora peggio band al femminile. La musica è universale, le note sono sempre quelle». Dadaista. Surrealiste. Di base. E poi. Hanno uno zoccolo duro che non si perde un concerto. E fanno presto a conquistare nuovə fan. Per dire, Bianca lavora in una scuola e all’ultimo loro concerto, qualche settimana fa, è andata praticamente a vederle mezza scuola: colleghe, personale ATA, precarie. «Sono entrate timide, sono uscite euforiche. Il giorno dopo hanno messo a palla a scuola il nostro pezzo “Dimmi dammi”. Dopo le baby dance ci siamo noi». Merita una citazione la loro etichetta. È la Elastico Records, la prima in Italia ad essere gender free, espressamente antirazzista, anti sessista, non binaria e intersezionale. Tutto torna.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *