Mariapaola Landini: “Questo virus ci sbatte addosso tutto”

L’emergenza e il post emergenza. Le sue giornate tra lavoro e frustrazione. La diffusione del virus dai pipistrelli all’uomo, passando per il pangolino. Il Governo, le Regioni, e una Sanità (italiana) tutta da ripensare. Il Nord, il Sud, il Centro. Milano come Wuhan. Il peso che le donne pagheranno. L’urgenza di rivoluzionare l’ordine delle priorità nelle nostre esistenze. E i primi animali esposti al contagio scateneranno l’ennesima psicosi? Mariapaola Landini, Direttrice Scientifica dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e Professoressa Ordinaria di Microbiologia e Microbiologia clinica dell’Università di Bologna, fa il punto della situazione con Noialtre sull’emergenza sanitaria. «Una situazione terribile – dice – che ci porteremo avanti fino al nuovo vaccino. Tra un anno, temo». Di una cosa è certa: «Questo virus ci sbatte addosso tutti i nostri problemi».

Professoressa Landini, solo un mese fa si diceva: è poco più di un’influenza. Ora abbiamo paura e le nostre sensazioni cambiano di giorno in giorno. Lei come vive, adesso, questa emergenza?

«Ho sempre continuato a lavorare e questo aiuta molto. I laboratori del Rizzoli sono sempre aperti, anche se con personale ridotto per via delle misure restrittive. Certo è che quando la sera mi chiudo in casa è tutta un’altra cosa. Mi assalgono momenti di frustrazione e senso di inutilità. Dopo tanti anni di esperienza sui virus capisco che sarei molto più utile alla collettività se fossi all’Istituto Sant’Orsola, per dire. Poi subentra il mood positivo, anche qui al Rizzoli qualche ricerca interessante che coinvolge questo nuovo virus la stiamo facendo, ma si potrebbe fare di più. Abbiamo strumenti eccezionali, ma non abbiamo fondi di ricerca liberi perché tutti quelli che abbiamo sono vincolati agli obiettivi del progetto che stanno portando avanti. Finalizziamo l’enorme potenziale per l’emergenza in piccolissima parte».

Come spiegherebbe in poche parole la nascita di questa pandemia?

«Parliamo di pipistrelli e questi mammiferi volanti ospitano tanti virus e alcuni di questi, detti a  forma di cavallo, sono portatori sani di vari coronavirus. I pipistrelli li eliminano con le secrezioni, poi finiscono nell’ambiente come polveri. Non sono in grado di infettare la specie umana perché non ne riconoscono le cellule. Come si sa, i virus non sono come i batteri che hanno una vita autonoma. Per crescere, moltiplicarsi, hanno bisogno di entrare in una cellula di organismo superiore. Un virus entra e cresce sempre in modo tumultuoso, e tra questi ce n’è sempre qualcuno un po’ diverso dagli altri dal punto di vista genetico, perché gli enzimi replicativi fanno errori. La stragrande maggioranza di questi mutanti non hanno alcun effetto sulla natura del virus. Nel caso in questione invece l’errore genetico ha permesso al mutante di riconoscere le cellule umane. Non è chiarissimo se ci sia stata una fase intermedia. Forse sì, attraverso il pangolino. Si pensa così perché se si prendono il virus del pipistrello e il virus dell’uomo, si trovano sequenze virali del pangolino a metà strada tra quelle del pipistrello e dell’uomo. Il mutante ha reso il pipistrello capace di infettare cellule del pangolino e replicandosi nelle cellule di questo è venuta fuori una mutazione che lo ha messo in grado di infettare le cellule dell’uomo. Ma ci tengo a dire che tutto è partito da un errore genetico avvenuto in Cina probabilmente nell’autunno del 2019, ma per mettere in crisi l’intero pianeta l’uomo ha fatto del suo».

Cioè?

«Se i pipistrelli fossero rimasti sugli alberi, se non ci trovassimo con la popolazione accalcata in grandissime città, e mettiamoci l’inquinamento, la deforestazione, il clima, i mercati con gli animali vivi e tutto il resto, non avremmo questo disastro umanitario».

Lo capiremo?

«Lo capiremo ma non reggerà a lungo».

Lei sostiene che le epidemie si devono gestire più nel territorio che negli ospedali: come si stanno muovendo in Italia le varie regioni?

«Nessuno era preparato a un evento di una portata simile, d’accordo. Ma l’ultimo piano nazionale per far fronte a un’epidemia in Italia è del 2005. A parte la Spagna che ce l’ha del 2006, tutti gli altri piani europei sono più recenti. Un piano aggiornato è fondamentale, oggi si possono mettere in campo conoscenze e strumenti impensabili 15 anni fa. Inoltre, la storia delle epidemie ci ha insegnato che ci sono tre cose da fare subito. La prima è identificare, isolare gli ammalati e interrompere qualsiasi rapporto sociale ed economico all’interno e all’esterno della popolazione, introducendo robuste forme di sostegno statale all’economia. La seconda riguarda i provvedimenti per assicurare massima protezione a chi sta in prima linea. La terza è l’attivazione di un’intensa attività di ricerca scientifica. In Italia si è vista subito la frizione tra alcune regioni e il Governo centrale. Ci si è arroccati dentro gli ospedali aspettando il nemico che intanto dilagava nel territorio. Dobbiamo essere coscienti che il virus è molto più diffuso del numero dei tamponi positivi».

Nord, Centro, Sud: in Italia vediamo situazioni molto diverse tra loro…

«Un fisico molto bravo dell’Istituto Rizzoli ha inserito i dati della Protezione Civile dividendo l’Italia proprio in Nord, Centro e Sud. Il Nord è contagiato ai massimi livelli, il centro meno, il sud ancora meno. Il lavoro fa notare una correlazione tra diffusione del virus e caratteristiche climatiche. Per ora la diffusione del virus è in una fascia tra i 30 e i 50 gradi di latitudine, dove c’è stata una temperatura media intorno ai 10 gradi e un’umidità tra 50 e 80%. Guarda caso, gli stessi dati di Wuhan, Seul, Piacenza e Milano. Quindi, se avessimo avuto un bell’inverno freddo, forse tutto ciò ci avrebbe colpito meno pesantemente. E allora, freddo, temperatura, clima, Greta Thumberg: tutto torna. Questo virus ci sta sbattendo in faccia i nostri problemi».

Le donne sono meno colpite dal virus rispetto agli uomini, tanto che anche la virologa Ilaria Capua ha sostenuto che potrebbero tornare prima al lavoro. Lei come la pensa?

«I dati sono molto chiari: le donne, con l’unica eccezione delle ultranovantenni, si ammalano e muoiono meno. Il rapporto è 1:3. Ma la maggior resistenza delle donne alle infezioni non è una novità. Ci sono varie ipotesi su questo. Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas, ne ha parlato a lungo e ne emerge che la donna è generalmente più adattabile. Aggiungerei, anche più soggetta alle malattie autoimmuni. Ma dal punto di vista sociale sono e saranno più colpite. Il lavoro domestico è aumentato a dismisura, come la gestione dei figli e anche le violenze domestiche, tant’è che i centri violenza hanno intensificato la loro attività. Spero di sbagliarmi, ma guardando al dopo, le donne che hanno contratti a tempo determinato saranno lasciate a casa molto più degli uomini. Sul ritorno al lavoro, abbiamo già visto durante la Seconda Guerra Mondiale quanto lavorassero mentre gli uomini erano al fronte, per farsi da parte a guerra terminata. Allora dico: potrebbe andare bene tornare al lavoro prima, ma evitiamo l’usa e getta. Abbiamo già visto com’è andata».

È dell’ultim’ora la notizia che anche gli animali sono esposti al contagio. Dobbiamo preoccuparci?

«Non c’è ragione oggi per pensare che un animale domestico possa essere fonte di contagio. È vero, in Belgio una persona ammalata ha contagiato il suo gatto, ma rientra nella normalità biologica, pur essendo un evento rarissimo. E non è un salto di specie, ma solo un caso di passaggio da uomo ad animale da contatto prolungato con alte dosi di virus. Il salto di specie avviene quando un virus è mutato ed è capace di trasmettersi nella nuova specie».

Fiorello ci intrattiene, Amadeus ci spiega come lavarci le mani, i campioni dello sport lanciano l’hashtag #distantimauniti, i cantanti cantano da casa… Ma uno scienziato, una scienziata, mai?

«Chi fa audience, pubblicità, spettacolo, sono purtroppo sempre calciatori, attori, cantanti, soubrette… mai uno scienziato. Credo sia stata una scienziata olandese a mettere a confronto il suo stipendio di 1500 euro al mese lavorando dieci ore al giorno, con quello dei calciatori e dire a muso duro in tv “adesso fatevi fare il vaccino da Ronaldo”. Ora tutti vogliono la cura. Giustissimo. Guardano tutti con speranza i ricercatori, ma in Italia com’è ridotta la ricerca? In miseria, fanalino di coda in Europa. E vogliamo parlare dello stipendio? Tenere in considerazione le cose veramente importanti nel dopo crisi sarà fondamentale. Cultura, istruzione, scienza, ricerca: cose bistrattate, e il virus ci sbatte in faccia anche questo».

Ricorderemo questo 2020 come l’anno del balcone o del tampone?

«Possiamo fare più balconi, meno tamponi?».

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