La grassofobia è uno stigma e ci riguarda tutt*. Lo dice “Grass*”, saggio di Elisa Manici
«Quello a cui miro è dire che una decostruzione dello stigma gioverebbe alla qualità della vita di tutte, tutti, tuttu, non solo le persone grasse in sé per sé».
Non so cosa vi balena in testa ogni volta che vi trovate di fronte a una persona grassa. Non sovrappeso, non cicciottella, ma decisamente grassa. Io lo so, e dopo aver letto Grass* – strategie e pensieri per corpi liberi dalla grassofobia (Eris Edizioni, collana BookBlock), il primo istinto è quello di ringraziare l’autrice, Elisa Manici. Poco fa, chiamandola, gliel’ho anche confessato. Mi ha aperto un po’ la testa su alcuni pregiudizi da cui mi credevo immune. E anche se, come sua madre e suo fratello a cui Elisa dedica questo saggio, ho capito grosso modo un terzo di ciò che ha scritto, non importa.
Due cose sull’autrice. Elisa Manici è giornalista (professionista), bibliotecaria, già direttora responsabile de La Falla, il periodico del Cassero Lgbti+ Center di Bologna, collaboratrice di diverse testate e transfemminista queer. Da 25 anni è attivista Lgbtqiap+ e dal 2009 si dice fiera fat queer. Poi, per chi è di Bologna, oggi alle 18.30 si può assistere alla presentazione al Giardino del Guasto sulla via omonima a un incontro organizzato dalla libreria Modo Infoshop. Una doppia presentazione. Oltre al suo testo infatti, si parlerà di Sex work is work di Giulia Zollino, antropologa, sex worker, operatrice di unità di strada, ed è altrettanto indicativo per capire quanti miti e pregiudizi si hanno nei confronti del lavoro sessuale.
«Per quanto riguarda le pubblicazioni italiane sul tema della grassofobia, siamo nel campo pionieristico», spiega Elisa Manici. Prima di questo volume erano usciti Belle di faccia di Chiara Meloni e Mara Mibelli (Mondadori), «un libro informativo e impostato su un registro divertente», e Queer Gaze. Corpi, storie e generi della televisione arcobaleno a cura di Antonia Caruso (Asterisco), con un contributo della stessa Manici. Potremmo aggiungere la traduzione italiana di Fat Shame, ma si tratta di un testo della statunitense Amy Erdman Farrell.
«La grassezza è l’ultima categoria di persone che nell’Occidente progressista ci si sente liber* di disprezzare e dileggiare», si legge nell’introduzione. Se poi la grassezza s’interseca all’essere «donne, soggettività razzializzate, Lgbt+, con disabilità, povere, l’effetto discriminatorio si moltiplica. Io lo so bene, in quanto lesbicx grassa. Sono sempre stata grassa nella mia vita».
Perché questo libro? Se Elogio del margine di bell hooks le aprì le porte, l’esempio dell’artista canadese Allyson Mitchell, “fat queer activist”, gliele spalancò. «Quando mi sono trasferita a Bologna – racconta – ho incontrato il fenomeno del fat queer activism. Era il 2009 e io curavo la programmazione del festival Soggettiva. Intanto continuavo a studiare e parlare ovunque mi chiedessero di farlo. Covavo il sogno di scrivere un libro, ma ero incapace di autopromozione». Tant’è che l’hanno cercata i tipi della Eris per chiederle espressamente di pensare a un libro sul tema.
Non c’è punto che non tocchi qualche filo scoperto da parte di chi legge. Io, per dire, mi chiedevo in continuazione a che livello di stigma sono, attraversando questo testo costruito tra studi, sensibilità, vita vissuta. «In sostanza – chiarisce l’autrice – le fondamenta di Grass* sono il concetto di stigma che ci viene da Gossman e quello del corpo normato del potere diffuso in modo reticolare di Foucault».
Il sociologo canadese Erving Gossman nella sua opera, Stigma, già nel 1963 scriveva che è la società a stabilire gli strumenti per dividere le persone in categorie, estendendo il concetto di stigma ben oltre le caratteristiche fisiche. Quanto a Michel Foucault, «molta parte del pensiero femminista contemporaneo sul corpo, sulle cui idee questo lavoro si fonda, riconosce in lui una sorta di padre fondatore e di guida».
Una persona grassa fa più fatica a trovare lavoro, è derisa sui social o quando cammina per la strada. Una persona grassa se sale su un bus può essere mal vista dal suo vicino. Una persona grassa ha paure che persone non grasse non immaginano nemmeno, come sedere su una sedia a braccioli. Una persona grassa se indossa un abito scollato può essere definita tutt’al più coraggiosa. Una persona grassa sente parlare di persone grasse come una disgrazia. Una persona grassa difficilmente la incontriamo in spiaggia, in piscina, in palestra.
Trasmissioni televisive del tipo Vite al limite o Sfida all’ultimo chilo cercano di convincerci che le persone grasse sono così a causa della loro pigrizia e mancanza di controllo. E spesso vediamo dietisti e medici trattarle come infanti malcresciuti. Le persone grasse sono talmente distanti dal mainstream che l’unico esempio di successo che ci viene in mente è Beth Ditto, leader della band Gossip che si è sciolta nel 2016.
Difficile sfuggire dalla grassofobia. E questo è un tema davvero che riguarda tutt*.
Elisa Manici non ha ricette magiche per essere magr* e felic*. Anche il body positivity può rischiare di diventare narrazione tossica. «Primo perché a dirlo sono sempre donne cis etero bianche che sembrano ripetere come un mantra “mi devo amare mi devo amare, mi devo amare…”, poi, in un mondo in cui lo stigma è sistemico, non amarsi sempre è normale. Non è necessario amarsi al 100%. I cambiamenti avvengono lentamente». Ma la via da percorrere la conosce bene: «Creare un mondo più giusto per persone grasse e ogni soggetto oppresso. Una cosa non mi stancherò di ripetere è che l’occhio indagatore e giudicante di cui ci parla Foucault non rende oppresse e infelici solo le persone grasse ma tutt*».