Il festival visto dal bar sotto casa

Sanremo visto dal bar sotto casa è un bel modo di vedere Sanremo. Perché il bar sotto casa non è un bar come tanti. Il titolare, un giovane barman che un suo cliente una volta ha chiamato “Piccolo Brad” per via di una somiglianza (che vedeva solo lui) con il ben più famoso Pitt, è astemio ma dicono prepari buonissimi cocktail. Io non ho verificato di persona, perché un barman astemio che fa cocktail non si è visto mai e non mi fido tanto. La barista che lo aiuta, forse ancora più giovane di lui, fa la musicista. Per un annetto se ne era andata via da Bologna: voleva provare a vivere con la musica nel Nord Europa. Un sogno presto infranto. Non per la musica, con cui riusciva davvero a vivere, ma per il tempo. Troppo grigio. Troppo plumbeo.

L’altro giorno però era abbastanza contrariata. Aveva visto Sanremo. Soprattutto, aveva visto Elettra Lamborghini. “Andavamo a scuola nello stesso istituto. A parte il fatto che era irriconoscibile perché me la ricordavo timida, riservata, vestita col maglioncino e i jeans e quando camminava guardava a terra, chi lo sapeva che voleva mettersi a cantare?”. Dal Nord Europa certe cose devono esserle sfuggite. “Suoni, cerchi spazi, ti ammazzi a far serate, e poi stai sempre qui. E lei è là, e mica solo lei”. Paradossi. Per un’edizione, questa “venti/venti”, per dirla con Amadeus, che è la più pirandelliana della storia.

Lo dice anche lo slogan “Una, nessuna, centomila” delle sette artiste della canzone salite sul palco per parlare dell’evento del 19 settembre all’Arena Campovolo contro la violenza alle donne, unite nella sorellanza (ma nessuna, tra Mannoia, Giorgia, Nannini, Amoroso, Pausini, Emma, Elisa ha aggiunto il termine “maschile” a violenza, quasi venisse dal cielo), congedate non prima dell’omaggio floreale del padrone di casa.

È pirandelliano che si accusi Junior Cally per via di quel testo oggettivamente terribile e che tra gli accusatori ci sia Matteo Salvini, forse perché il rapper nella sua “No, grazie” sanremese ne ha anche per lui, come per l’altro Matteo (“Spero si capisca che odio il razzista che pensa al Paese ma è meglio il mojito e pure il liberista di centro sinistra che perde partite e rifonda il partito”), mentre si ignori uno come Marco Masini che in passato ha scritto “Bella stronza”, per citarne una, e per non dire del videoclip annesso. Tornando a Cally, nel sedare le polemiche dei giorni scorsi ha dichiarato con parole forti e chiare: “Sono dalla parte di Gessica Notaro”, e ci mancherebbe che si schierasse dalla parte dell’ex che la sfregiò con l’alcol.

È paradossale e noiosa la tiritera di Fiorello venuto a “salvare” l’amico conduttore con le battutine da scuola elementare su tutto quanto fa “ismo”, dal “fiorismo” al “bacismo” dopo il bacio a sorpresa a Tiziano Ferro, per sminuire le accuse di sessismo mosse ad Amadeus. Il quale Amadeus ha replicato di non sentirsi toccato dalle offese, come se l’offeso fosse lui. E se non è pirandelliano questo.

Il resto è gara. Canzoni. Cantanti. Solo 7 donne su 24. Pochissime, si è detto. Vero. Ma scorrendo negli annali del festival si scopre che a parte le primissime edizioni in cui trionfava Nilla Pizzi, l’anno in cui si è vista una maggiore partecipazione femminile è stato il 1975. Coincidente con l’anno zero del festival, forse il meno riuscito della sua storia. Su 30 brani, 16 erano cantati da donne, tra cui il duo Le nuove Erbe, formato da due gemelle, 7 da gruppi e solo 7 da uomini. Curiosità: vinse tal Gilda con “Ragazza del sud”. Scritto da Rosalba Scalabrino, cioè il nome anagrafico della vincitrice, il testo risulta essere tra i più sessisti mai scritti per Sanremo. Stasera c’è la finalissima. E stai a vedere che vincerà una donna. Magari Elodie. e si dirà: “Ovviamente bellissima”.

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