Chiedi chi era Nadia Comăneci

«Tanti mi fermano per la strada e mi raccontano ancora che ricordano perfettamente dov’erano, con chi erano, cosa facevano quel 18 luglio del 1976. Un giorno Michelle Obama mi disse: “Nadia, ma tu lo sai cos’hai fatto per me? Mi hai fatto capire che potevo fare qualsiasi cosa se mi fossi impegnata”». Il dieci perfetto di Nadia Comăneci è stato come quegli eventi in cui ricordiamo esattamente dove eravamo, cosa facevamo, con chi eravamo. Sempre che il 18 luglio 1976, il giorno del “First Perfect Ten” ottenuto alle parallele asimmetriche alle Olimpiadi di Montreal, eravamo già al mondo. Per i nati ieri invece, vale il “Chiedi chi era Nadia”. E noi abbiamo l’obbligo, il dovere morale di rispondere. Pochi giorni fa ho parlato di Nadia Comăneci a un gruppo di ragazze e ragazzi di scuola media. Sono rimasti basiti. Meglio: rapiti. Incantati. Più della migliore delle serie tv che divorano giornalmente. Non credevano che tanta perfezione e tanta fatica potessero essere possibili.

Oggi l’ex campionessa rumena compie 59 anni. Quel giorno lì del 1976 non ha ancora 14 anni. Se rivediamo quei 25 secondi passati alla storia notiamo che lei, freddissima, non guarda nemmeno il tabellone. «Non guardavo mai il tabellone – ha raccontato-. Sapevo sempre cosa mi meritavo. Speravo in un 9.90». Invece sente un clamore. Si gira, vede scritto “1.00”. Ci vuole poco a capire che non può essere un “1”. Il tabellone non aveva previsto la decina. Al massimo un 9.95. Per dire: la Omega, la ditta che forniva i tabelloni, aveva chiesto alla Federazione se fosse il caso di prevedere un 10, ma la risposta fu “No, nessuno prende un 10 nel nostro sport”. Altri sei “10” prenderà Nadia. «Io e Béla Károlyi ci stavamo facendo l’abitudine».

Già, Béla Károlyi. Un giorno va nella sua scuola a cercare ginnaste, chiede chi sa fare la ruota, lei dice “io” e comincia la storia. Vincono tutto, Nadia, lui e sua moglie Marta. Ma Nadia pagherà un prezzo altissimo. Da bambina, costretta a mangiare due panini al giorno, a vedere la sua famiglia due volte al mese e a sottostare a una vita da caserma. Da olimpionica, trattata come un trofeo funzionale alla propaganda del regime rumeno del dittatore Ceauşescu e costretta a diventare l’amante del suo terzogenito, Nicu. Anni di abusi e violenze culminati in un tentato suicido nella villa che il regime le aveva regalato.

Finché il 28 novembre del 1989 scappa dalla Romania. Dopo ore infinite di cammino raggiunge l’Ungheria, poi Austria, Canada, Stati Uniti, dove viene accolta come rifugiata politica. Ritrova un ex ginnasta, Bart Conner, conosciuto proprio a Montreal nel 1976. Si innamorano, hanno un figlio, condividono l’attività dell’Accademia di ginnastica di Bart e altro ancora. È impegnata su più progetti di beneficenza, in Romania e non solo. Insomma, torna a vivere. Il passato è passato. «È tutto scritto nel mio libro». “Letters to a Young Gymnast”, del 2004. Sembra tutto facile, oggi. In fondo, dice ancora, molto è «innato, poi ci vuole fiducia in sé stessi, tanto duro lavoro, ripetere gli esercizi migliaia di volte». Già. Che ci vuole?

A noi resta quello che ha spiegato efficacemente un’ex ginnasta italiana, oggi giudice, che a quelle olimpiadi del ‘76 c’era: «Nadia Comăneci ha trasformato un gesto atletico in un capolavoro assoluto. Da allora, nella storia della ginnastica c’è un prima Comăneci e un dopo Comăneci». Eppure a riascoltare le sue parole di qualche anno fa, sembra il gesto più normale del mondo. «Avevamo degli esercizi obbligatori in ogni attrezzo, e quindi anche alle parallele. Alla fine era tutto un po’ noioso. Allora mi sono inventata un movimento». È il salto Comăneci . Così, per vincere la noia.  «Credo che fare la sequenza migliore al momento giusto sia la definizione di un campione. Ero in una forma strepitosa nel momento giusto». Buon compleanno, Nadia Comăneci 

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