Dalia Macii, “unica donna un po’ dappertutto”
«Il fatto è che la mia vita, che da un certo punto di vista sembra una figata, in realtà ha dei grandi margini di fragilità. Di cosa mi occupo? Di cose molto belle: di cultura, innovazione culturale, sviluppo dei territori. E tutto ciò è strettamente legato alle relazioni e alla politica. Sai, dopo una laurea in antropologia…». Non ingannino i puntini di sospensione, che a sentire e guardare Dalia Macii in una telefonata in meet erano tangibilissimi. Quei puntini li leggi come un prendere fiato. Un modo per organizzare i ricordi, le tappe. Gli studi, gli interessi in una vita che va veloce. Velocissima.
Dalia Macii, laureata a Perugia in Conservazione dei Beni Culturali, è cofondatrice e presidente della cooperativa Impact Hub Trentino. Vive a Rovereto, è specializzata in management culturale, cura progetti e iniziative sulla base di esigenza territoriali. Da 16 anni lavora con la compagnia Abbondanza Bertoni, pioniera del teatro-danza in Italia. Questo il curriculum ridotto all’osso. Poi arrivano quei puntini di sospensione da riempire. Praticamente un mondo.
Roma, Perugia, Torino, il Trentino sono le località dove ha «sempre organizzato cose, volevo capire se la cultura poteva essere un veicolo per far crescere un luogo. Nel 2005 c’erano pochissime possibilità, poi tutto è esploso, in forme diverse. Perché a un certo punto sono venuta qua a Rovereto? Perché ho vinto una borsa di studio, mio fratello viveva già in Trentino e mi sono detta: questa è una bazza».
A Rovereto intanto si trasferisce la compagnia Abbondanza Bertoni dalla sede di Bologna. Doppia «figata». Per un anno e mezzo Dalia si occupa esclusivamente della compagnia, che nel frattempo cresce e diventa residenziale al Teatro alla Cartiera e inizia ad accogliere anche altri artisti associati. Intanto acquisisce esperienze, capisce che vuole fare anche altro. «Quante volte mi sono detta: io non sono solo questa».
Si immerge nel lavoro dentro i confini di un territorio «di valli sperdute». Prima l’apertura di uno spazio di coworking e innovazione culturale a Rovereto, quindi, dieci anni fa, il salto: una sede più grande a Trento. «Mille e cinquecento metri con un grande parcheggio coi conigli selvatici che rodevano i cavi dell’aria condizionata, causando danni enormi. Diamo lavoro a 8 persone che diventano 12 con le collaborazioni ai progetti. Adesso sono al secondo mandato di presidenza cooperativa, la formula più adeguata, del resto, in un territorio in cui tutto ciò che ha avuto sviluppo viene dal mondo della cooperazione. Uno dice: figo, per una donna. Se sia figo non lo so. Ma ho 43 anni, e se mi rivedo indietro penso: però, quante cose ho fatto».
Tante, davvero, se ci mettiamo anche il periodo romano di proposte di ricerche al Maxxi – Museo delle arti del XXI secolo – periodo in cui, tra le altre, «mettevo su dischi in un locale per sbarcare il lunario».
Rifarebbe tutto? «Con gli occhi di oggi ho qualche dubbio. Vuoi cambiare il mondo, ma la verità è che si è composti da più anime e non è facile farlo capire. Hub non è solo un’agenzia che organizza eventi. Non facciamo bottoni, dove cambi attrezzatura e via. Cerco da sempre di mantenere un mio stato “cinico” a livello medio e penso: esistiamo se sappiamo leggere il presente, e forse alla fine questo nostro seminare alcune lampadine le ha accese».
Il futuro è da immaginare. Anche se i giovani «penso non siano più yeah come anni fa». Si cerca sicurezza, stabilità, «ma io non so nemmeno cos’è la stabilità. Ho sempre pensato: domani ne invento un’altra. Forse sono matta, o forse penso solo di non essere la persona che vuole fare quel tipo di lavoro lì. Quello che dà stabilità e sicurezza». Per fare un esempio, «chi ha mai avuto le cinque canoniche settimane di ferie? Chi ha mai avuto la tutela sanitaria? Però questo fatto di poter cambiare è sempre stato uno dei grandi motori delle mie giornate».
Impact Hub mette in campo progetti importanti. Come quello con il Parco Adamello Brenta, il più grande della regione che coinvolge 14 comuni e 6 aziende di promozione turistica.
Dalia oggi è anche coordinatrice didattica della seda laboratoriale di Laba (Libera accademia di Belle Arti) di Trento e titolare del corso universitario Cultura e pratica dello spettacolo dal vivo alla Laba di Brescia. Nel 2019 viene eletta nel CDA del Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Nel frattempo ci sono le elezioni, vince la Lega, Vittorio Sgarbi viene nominato presidente e «la cosa buffa è che mi sono trovata a leggere sui giornali “Macii alla corte di Sgarbi”. Così, senza comunicazioni». Però scopre che è un presidente «istrionico ma anche molto pop». Detto come accezione positiva, «perché poi non è da tutti portare 30 mila persone alla mostra di Fortunato Depero. Mi morderei le ginocchia ma lo ammetto».
Di buffo, diciamo così, c’è altro. Dalia Macii è l’unica donna al Cda «e unica donna un po’ dappertutto. Se mi pesa? Ora non più. Capita che mi chiedano come mi senta. Rispondo come vi sentite voi, il problema è vostro, non mio». Capita (spessissimo) che la chiamino consigliere. «Non mi arrabbio se mi chiamano così. È necessaria un’educazione al linguaggio, ma se ci fermiamo lì perdiamo un sacco di tempo e non siamo efficaci come vorremmo. Pensiamo a fare, a rompere le scatole, anche a costo di essere un filino sgradevoli. Poi, ok, tutto giustissimo. Sono circondata da situazioni in cui fanno fintamente attenzione a tutto, ma poi siamo sempre lì. Basterebbe che, quando mi vedono, unica donna, al tavolo, non mi scambiassero più per l’accompagnatrice di qualcuno, o che mi chiedessero: tu che fai? Chissà che faccio: pulisco i tavoli, forse?».