Lettera al Festival di Sanremo

Caro Sanremo, sei sempre Sanremo.

Quest’anno lo sei tanto. Tanto. Nel bene e nel male. Perché sei bene e sei male. Fai bene e fai male dopo tanto tanto tanto tanto tanto tempo. E allora, mi dico, che faccio? Ti seguo? Ti ignoro? Ti seguo, va. Tu sai, siamo un po’ come cuori puri mangiati dall’avidità e tu non ne sei immune. Non ne sei immune affatto. Le polemiche sono arrivate, la politica che s’intromette, le donne sempre bellissime, a volte bellissimissime, e gli uomini che cantano e si esibiscono in momenti di super share. Il solito. Allora te lo dico. All’inizio era una pacchia, come Frank Sinatra con la mafia ma poi diventa un lavoro e il lavoro diventa ansia. Te lo confesso, a volte ho pensato: mi tuffo nell’immensità del blu e faccio splash.


…all’inizio era una pacchia, come Frank Sinatra con la mafia…

Capisco anche i 28 big in gara, avranno pensato che a volte è meglio soli su una nave per non sentire il peso delle aspettative. Qualcuno ha detto anche: l’ultima volta che ho fatto un pronostico è andata a finire che mi sono arreso. Allora, silenzio scaramantico. Perché lì in mezzo, sicuro, ci sarà stato chi non sa nuotare in una vasca piena di squali (piena di squali). Per carità, io capisco anche te e la tua storia, e poi, si sa, la vita chiede i conti al passato proprio quando ti manca il fiato e tu hai tutto il diritto di replicare: ma che ti sembro un mostro? Guarda che sono apposto. Però anche noi che stiamo a guardare, io per prima, siamo gente un po’ strana. Sicuro, paziente. Pazientissima. E capita che in queste serate fiume, lunghe ben oltre duemilaminuti, ne facciamo di ogni. Per dire, a volte cerco di distrarmi, ma mi perdo il film. L’altra sera eravamo da me abbiamo messo i Police. Era bello finché… non lo dico.


…una bella canzone di cui ricordo le ultime parole, quelle dette male…

Tranquillo, torno poi sempre su Rai Uno e penso che alla fine eri una bella canzone di cui ricordo le ultime parole, quelle dette male, maledette! Le canzoni sfuggono, io non credo più alle favole e certi momenti ti supplicherei: “Aiutami a sparire come cenere. Spazzami via come cenere!”. Altre volte invoco: “Non lasciarmi, non lasciarmi qui (ripetuto 8vv)”. Eppure, ci senti?  Macché. Insomma, quello che so è che dopo quattro serate fiume, aspettando stasera, ci siamo lasciati e ripresi come i trapezisti del Cirque du Soleil. Del resto, penso di avere talento per trasformare le sfide in sfighe ormai, come fanno i buoni amici o le strade di Parigi. Sono fatta così: vivo come mi viene. Vivo il male, vivo il bene, vivo come piace a me. Ho il destino stanco forse ho corso tanto (perché perché perché). Ho anche sognato: Adesso corro via su una cabriolet, mi dicevo. Dici che è normale? Che sono 73 edizioni che è così? No dai, non prenderci in giro. Io sento che siamo un libro sul pavimento in una casa vuota che sembra la nostra, il caffè col limone contro l’hangover. Non ho detto postumi da sbornia, ho detto hangover, e settant’anni edizioni fa mica dicevano hangover.


…il caffè col limone contro l’hangover…

Forse dovremmo ammetterlo, noi da casa: a volte chiedere aiuto fa paura: saremo mica supereroi? Forse è sufficiente ammettere che sei solo un perfetto frutto del Made in Italy. Lo so, alla fine dirai quello che si dice sempre: sono solo canzonette, perlopiù d’amore che sono meglio stonate. Canzonette che certe volte ti fanno gridare Furore!, e ti fanno ballare, ancora ballare come se fosse l’ultima, se fosse l’ultima canzone e due milioni di parole non bastano. Ma poi, a conti fatti, sai che c’è? C’è che non è tutto finto nei film, la realtà forse sì, e chissà se mi giudichi se metterò il rossetto in ufficio lunedì. C’è che io amo l’alba perché è come se fosse solo mia, perché è come una sana follia. C’è che forse siamo solo due cause perse. Forse solo polvere. Però, stasera, niente pronostici. Altrimenti divento pure un po’ banale e non vorrei fare splash (o forse sì).

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