Simone Biles scaccia i demoni e fa (ancora) la storia
Ad Anversa Simone Biles dieci anni fa vince il suo primo titolo mondiale. Nel 2021, ai Giochi Olimpici di Tokyo, specialità volteggio, perde il controllo dell’esercizio. Avrebbe dovuto eseguire un salto Yurchenko. Non ci riesce, cade male. È il 27 luglio, Simone rinuncia alla finale del volteggio, delle parallele asimmetriche, partecipa giusto alla finale alla trave dopo aver pubblicato su Instagram un video impressionante dove cade di schiena proprio dalle parallele dicendo al mondo che non capisce dove si trova mentre è in aria, che non ha più il controllo del suo corpo, e si ritira anche dalla finale del corpo libero. Dopo la finale alla trave è “solo” medaglia di bronzo. Lei che di ori ne aveva vinti fino a quel momento 19. Dunque, il ritiro. Immaginiamo sofferto. O forse no. È lei che in fondo ha raccontato a una giornalista americana di sapere di essere un’atleta eccezionale ma «quando tolgo la maschera non so cosa c’è sotto». Intanto i giornali si sperticano in commenti. “La farfalla diventata pietra” tra i più (ab)usati. Per non dire delle narrazioni sulla regina senza scettro, le teorie psicologiche più o meno colorite e via dicendo.
Ieri Biles, ai campionati mondiali di Anversa, attacca di nuovo il cavallo ed esegue quello che non le era riuscito a Tokyo, il salto Yurchenko doppio carpio. Un salto che fino a ieri era riuscito solo agli uomini. Può darsi che queste due coincidenze, Anversa e un elemento come lo Yurchenko che due anni fa ha segnato l’inizio del suo ritiro, siano casuali. Però dicono tanto. Perché chiudono un cerchio. È tornare alla memoria a quella prima vittoria di dieci anni fa, ma anche a quel giorno in cui parlava di “twisties”. Di demoni. Vecchi e recenti. I traumi infantili e le violenze di Larry Nassar, medico della nazionale di ginnastica artistica statunitense che chiamarlo medico è un’offesa alla categoria, la cui storia dei suoi abusi alla squadra è descritta con precisione chirurgica (a proposito di medicina) nel docu-film Netflix “Athlete A”. Ma ora è tempo di cerchi. Uno, dunque, è già chiuso e con gli altri quattro viaggia verso i Giochi Olimpici di Parigi 2024.
Stamattina ho visto e rivisto quel salto non so quante volte. Ogni volta cresceva l’ammirazione, la commozione, lo sbalordimento. Invito a vederlo e rivederlo. Per raccontarlo usiamo le parole di Donatella Sacchi, presidente del comitato tecnico internazionale della ginnastica artistica femminile. La “capa” della categoria arbitrale nel pianeta, insomma. Lo Yurchenko, ha spiegato al Corriere della Sera, «è un doppio salto indietro con una doppia rotazione trasversale, è frequente nei maschi ma tra le donne non lo avevamo mai visto, in genere le rotazioni sono su un asse longitudinale». Da ginnasta, per la cronaca, Sacchi nel 1976 è a Montreal quando vede con i propri occhi il 10 a Nadia Comaneci. Un record paragonabile solo per l’eccezionalità del risultato, poiché oggi i punteggi sono molto diversi da allora. Prima il massimo era 10 e da lì si toglieva. Oggi i punteggi sono dati dalla somma delle difficoltà e dell’esecuzione. E per chi è digiuno di giurie, i 15.266 punti ottenuti, con un 6.4 di difficoltà, si traducono in qualcosa di mai visto. Perché il limite è stato spostato più in là. E da ieri è nato il BILES II.
La campionessa non ha ancora commentato l’impresa. Le ultime immagini sul suo profilo ufficiale Instagram sono quelle del matrimonio con il campione di football Jonathan Owens. Un po’ meno recenti, i selfie con sorrisi nel dopo ritiro.
La pratica di questa disciplina impone sacrifici immensi. Come se non bastasse, negli ultimi anni nella ginnastica – non solo artistica: pensiamo alle “farfalle” italiane della ritmica – sono venuti a galla soprusi di ogni genere perpetrati sulle atlete. Negli Stati Uniti Larry Nassar è stato condannato a una pena totale di 176 anni per aver abusato sessualmente di quasi 260 atlete. Da quella indagine vennero coinvolti altri personaggi del team Usa Gymnastics e oltre alle denunce di abusi sessuali di Nassar diverse ginnaste denunciarono abusi fisici e psicologici da parte di alcuni allenatori. Il caso, oltre a fare il giro del mondo, ha trasmesso coraggio a ginnaste di altre nazionalità che hanno cominciato a denunciare abusi sessuali, psicologici, verbali. Gran Bretagna, Germania, Olanda, Belgio, Australia, Canada, Grecia, Giappone… E Italia. Nella ritmica Carlotta Ferlito e Sophia hanno avuto il coraggio di parlarne.
Intanto, in concomitanza con l’apertura dei mondiali di ginnastica artistica, in Italia una sentenza della giustizia sportiva fa a dire poco discutere. Emanuela Maccarani, allenatrice della nazionale di ritmica, accusata dalle atlete Anna Basta e Nina Corradini di pressioni psicologiche, insulti e vessazioni varie, rischia ora di trasformarsi in vittima. Il verdetto dice infatti che il suo comportamento era dettato da “eccesso di affetto”. La pena? Una indolore ammonizione. E c’è il carico da undici. Quello dell’avvocata Livia Rossi della Procura Generale dello Sport del CONI, secondo la quale «ci vuole una particolare forza mentale, una predisposizione e un forte autocontrollo per controllare periodi di forti stress. E la ritmica richiede anche requisiti fisici». Che dire? Se anche il ministro dello sport Andrea Abodi si dice «perplesso su alcuni passaggi della sentenza», abbiamo un problema.