LinkedOut, la strage silenziosa

Una settimana fuori dal mondo. Definirei così i miei ultimi sette giorni. Non ho trovato il tempo né per leggere i giornali, né per ascoltare il tg. Troppo lavoro. Tra le tante notizie che sono trapelate ce ne sono due in particolare che però mi hanno toccato. Entrambe riguardano la morte di una donna. Domenica scorsa una ragazza, Emma, è stata fatta a pezzi e abbandonata in un cassonetto. Lunedì, Luana muore schiacciata da un macchinario nell’azienda tessile di Prato in cui lavorava. Entrambe vittime di due stragi silenziose.

Una, forse, più dell’altra.

È stato messo in evidenza come ogni giorno, nel 2021, l’anno in cui molti di noi sono stati a lavorare da casa, ci siano state, in media, 2 morti al giorno.

2 morti al giorno dichiarate, di lavoratori e lavoratrici dichiarati/e come tali. Senza contare tutte le morti dei lavoratori/lavoratrici in nero. Tutte le morti di persone di cui non si conosce nemmeno l’identità.

A una settimana dal 1 maggio. Giornata in cui si è parlato dello sfruttamento dei rider, del caporalato, del lavoro in nero e dei diritti negati. Giornata in cui però non si è parlato di quanto ridicole siano le paghe base di molti lavori, di quanto sia ancora in voga l’utilizzo del co.co.co, o di come lo stage sia utilizzato per avere persone qualificate a costo zero.

Non si è parlato nemmeno di come il decreto legge 3/2020 (grazie al quale molti/e di noi si trovano 100 euro in più sulla propria busta paga, la trasformazione del vecchio bonus Renzi) sia utilizzato come pretesto per abbassare ulteriormente le buste paga, anziché rappresentare un guadagno per il lavoratore.

Si è parlato di pandemia, di sblocco dei licenziamenti, di proroghe, di sussidi, ma non si è parlato di come il sistema in cui siamo inseriti/e stia collassando.

Persone che escono da casa per potersi permettere una vita dignitosa e che senza una valida ragione la perdono. La pandemia ci ha abituato alla morte, a sentire ogni sera numeri di persone che non ce l’hanno fatta. Ci ha abituate alla disperazione. A pensare che siamo in una crisi dalla quale difficilmente usciremo con facilità. Ci ha abituati a pensare in negativo, a non credere che le cose possano modificarsi. Ma possono. Anche se l’informazione è appiattita su un solo argomento da ormai troppo tempo.

Bisogna tornare a parlare delle vite delle persone. Vite in cui il lavoro occupa ormai la quasi totalità dello spazio, vite in cui l’assenza di lavoro annienta ogni possibilità. Qualcosa su LinkedIn ha ricominciato a muoversi, ma a quali condizioni? Le stesse, molte mansioni, competenze alle stelle, e poca sostanza. 

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