Se allungare Tokyo 2020 non si può, almeno ridateci Il circolo degli anelli
Game over. Tutti a casa. L’olimpiade più bella. Quella più inclusiva, multietnica, medagliata, commovente, emozionante. Di cui ognuno di noi ha la gara del cuore davanti agli occhi. La storia del cuore che porterà con sé. Si è detto tutto, o quasi. Si è detto, comunque, abbastanza. Le nostre medaglie. Le storie sviscerate.
Vito che ricorda il nonno, come anche Mirko, Lucilla che saluta in video la compagna. Il duo velistico misto. Uomo e donna. Insieme. Un altro passo in avanti. Gianmarco che vince l’oro nel salto in alto pari e patta fifty-fifty e quando vola per saltare l’asticella dice che è come se scavalcasse «i muri che dividono i popoli» perché «Siamo tutti fratelli» e Marcell doppio iridato che ancora non ci credeva e adesso forse comincia a capirlo. Vanessa che si allena nel garage, Eseosa che invece vince la 4×100 finalmente con la casacca azzurra e pensa a sdebitarsi con sua mamma che gli ha insegnato l’essenziale, cioè i valori della vita come il rispetto e che le scarpe nuove le compri quando finisci quelle che hai.
Antonella e Massimo intanto vincono marciando e non possono che fare quello perché «in Puglia non ci sono le strutture e allora ti alleni per la strada». Irma invece tira pugni in palestra, a Torre Annunziata, dove Lucio Zurlo l’ha “adottata” e salvata da una vita a rischio. Il suo progetto, a 86 anni, Zurlo lo ha detto ieri all’ultima puntata de Il circolo degli anelli. «Creare un’altra Irma». Quattro atleti, quella palestra, ha portato alle olimpiadi «e guardate in che condizioni siamo». Messaggio chiaro che Alessandra De Stefano e i suoi ospiti raccolgono e rilanciano. Vorremmo dire: «Allungateci queste olimpiadi ancora qualche giorno». Per le storie d’Italia e non solo (ci ha insegnato qualcosa Simone Biles?). Ma sappiamo che così non funziona. Potrebbe invece funzionare benissimo questo modo inusuale di raccontare lo sport, tra competenze tecniche e narrazioni, serietà e momenti leggeri che spesso diventavano esilaranti. Il modo inusuale, sorprendente, de Il circolo degli anelli, appunto.
Se non domani, domani l’altro, moltə deə 40 medagliatə di queste olimpiadi saranno dimenticatə. I loro nomi lasceranno il posto alle cronache calcistiche con le solite domeniche sportive, le solite intervistine in cui trovare un calciatore che dica qualcosa di originale, un allenatore che non si faccia chiamare mister, o che non tenga il muso se qualcuno gli fa un appunto è missione impossibile.
Ieri scorreva l’ultima puntata de il Circolo degli Anelli. Gli ospiti nelle 17 puntate assumevano via via un ruolo sempre più nitido. Tra Chechi con le “Juryolimpiadi”, Domenico Fioravanti “lancista” vintage e Sara Simeoni che giganteggiava sempre di più tra acconciature, ironia e colpi di pura comicità, spalleggiata da una strepitosa conduttrice, la giornalista Alessandra De Stefano – genialmente demenziale la telefonata ad Aldo Montano, il tuca-tuca con Jury Chechi, o quando, per smorzare la commozione di Vito Dell’Aquila nei ricordi del nonno scomparso gli chiede a bruciapelo cosa ha mangiato prima di partire per Tokyo – la trasmissione ha aperto col sorriso, divertendo, temi serissimi come le strutture sportive, l’inclusione, le sofferenze e la fatica, le famiglie «che si scelgono» o quelle dove l’amore è amore, come nelle parole della famiglia Boari (sempre ieri a “Il circolo degli anelli”) dal valore educativo a mille, da vedere e rivedere e proporre nelle scuole di ogni ordine e grado.
E mentre scorrevano i minuti di spettacolo puro, pensavi che forse una trasmissione del genere è stata possibile perché si parlava di sport e non di calcio. Chissà, sarebbe fantastica una trasmissione così anche per parlare di calcio. Ma forse questa è utopia.