Le critiche (costruttive) fanno bene e Immuni app cambia immagine
Immuni app il giorno dopo ha corretto il tiro. Se la app governativa pensata per contrastare la pandemia ieri è uscita con un’immagine che mostrava da un lato una donna che teneva in braccio un bambino e dall’altro un uomo mentre lavorava al computer, ora le parti sono invertite. Lui accudisce il bebè, lei lavora al computer. Una modifica in corsa e doverosa al termine di una giornata di critiche, contestazioni e accuse di sessismo. Meno male.
Noi di Noialtre rimaniamo però del parere che questa app ci sarebbe piaciuta di più se si fosse chiamata “Immune”. Al singolare. E la questione non è grammaticale (la conosciamo anche noi la grammatica italiana), ma di rappresentazione. Al singolare, io, persona, mi ci posso identificare a prescindere dall’appartenenza di genere. Al plurale la parola rimanda a un immaginario maschile. Almeno secondo noi di Noialtre (astenersi a questo punto al copia-incolla da dizionari: ne abbiamo già visti a sufficienza nei commenti Facebook di ieri).
Anzi, a dirla tutta preferiremmo la parola “Immunità”. Quel concetto di “condizione di refrattarietà, congenita o acquisita, nei confronti di una infezione o malattia (cit. Treccani. Della serie: arriva il pippone) era noto già nell’antica Grecia. Fu lo stesso Tucidide, in occasione della peste che colpì Atene nel 430 a. C., a scrivere magnificamente di persone sopravvissute a certe malattie contagiose “che diventavano resistenti a un nuovo contatto con le stesse malattie, tanto che usualmente si occupavano della cura di coloro che le contraevano”. Non sarebbe una bella parola?
Detto ciò, veniamo al dunque: ma voi, l’avete scaricata (o la scaricherete) ImmuniApp?
(Carla Catena, Paola Gabrielli, Elena Lazzari)