A Sanremo è nata una stella e si chiama Orietta

Mentre attendiamo con trepidazione il monologo dedicato alle donne che Barbara Palombelli, ospite questa sera al Festival “ventiventuno”, porterà sul palco del Teatro Ariston, si ripensa anche da queste parti alle 5 giornate di Sanremo. E viene da dire che questo festival “al femminile” rivendicato a ogni battito di ciglia da Amadeus, talmente “al femminile” che assistiamo a un ricambio quotidiano mentre Fiorello e Ibrahimovic sono sempre lì, partite del Milan e imprevisti permettendo, ha visto brillare una stella.

Una stella “al femminile”. D’accordo, brillava anche per gli abiti che lei, temeraria, per andare a ritirarli ha violato il coprifuoco, e soprassediamo. Ma ecco, abiti a parte, Orietta Berti, la cantante che doveva tenere alta la bandiera della musica leggera della tradizione italiana, quella che, parole sue, «potrei essere la nonna di tanti cantanti che ci sono quest’anno», ha detto cose e cantato cose che, carǝ tuttǝ, ha rimesso a posto diverse questioni. Vi aspettavate un passo avanti (ricordate il passo indietro del 2020?) da Matilda De Angelis? Da Elodie? Sì, ok, ma anche nì. Andiamo per ordine decrescente. Insomma, partiamo da ieri.

Sale sul palco, Orietta, canta un pezzo da novanta come Io che amo solo te di Sergio Endrigo, per farlo chiama a sé un gruppo di vocalist “al femminile”, le Deva, e insieme sono un inno all’intergenerazionalità. Con messaggio body positive, oltretutto. Sentite poi cos’ha detto la Signora della canzone melodica prima dell’esibizione in conferenza stampa: «Le Deva sono vocalist molto brave e meritano di farsi sentire, così abbiamo deciso di dividere la canzone in parti uguali e io sono una di loro, non loro un mio supporto». Un’affermazione che ne chiama un’altra. Determinante, visto che si parla di canto. «Essere intonati è una prerogativa. La canzone italiana, quella della tradizione, basata sulla melodia, ha anche versi che devono essere legati. Invece oggi è tutto spezzettato. È molto facile cantare così e anche uno che non lo sa fare riesce ugualmente».

Già la prima sera, al termine della sua esibizione di Quando ti sei innamorato, il brano in gara che ha aperto il festival, si sono congratulati da mezzo mondo, e il messaggio più bello per lei è stato quello di un ragazzo di vent’anni di Savona. «Ha detto: Orietta, ti apprezzo molto perché hai cantato senza nessun elemento di aiuto microfonico. Perché adesso ci sono i microfoni che ti intonano. Io no, sono all’antica, non ho neanche voluto gli auricolari. Mi danno anche fastidio».

Racconta che una volta sul palco si è rilassata quando ha visto l’orchestra. A proposito di orchestra poi, avrete notato come saluta (e ringrazia) il direttore, i musicisti tutti, con una naturalezza che non sembra di questo mondo? La verità è che si sente «fortunata. Questo mestiere ti fa rimanere il cuore giovane. Quando sei lì hai vent’anni». Eppure non è stata una passeggiata. Reduce dal Covid – «È terribile, specie se hai una certa età. Arriva in sordina e te ne accorgi quando non sai più respirare» –, trascorre questi giorni «in una situazione gelida, senza fiori, senza un’anima viva», ma non si è pentita. Anzi: bisognava festeggiare i 55 anni di carriera e Sanremo, oltre a un mega cofanetto di 6 cd in arrivo, era un modo. C’è anche un brano contro la violenza alle donne, nel cofanetto degli inediti. «S’intitola Il coraggio di chiamarlo amore. È dedicato alle donne sfortunate che continuano a chiamarlo così, che sperano ancora di avere un sostegno da parte di queste nullità e invece hanno trovato solo buio completo, sentimenti annullati, morte».

Orietta impegnata? Non è poi una novità. «In una canzone intitolata Tarantelle parlavo dei politici che prendono i soldi dalla gente del paese per farsi la villa al mare». Ne recita anche un passaggio: «…tarantelle a palazzo, no no, non ballatene più, la gente è stanca di perdere, fate qualcosa di più. Era del 1989, molto prima di Tangentopoli. Ogni volta che volevo presentarla in tv qualche produttore mi diceva “no Orietta, tu devi cantare le canzoni dolci, devi portare serenità alla gente”. Questo per dire che ho fatto canzoni melodiche ma anche canzoni di protesta. Solo che non mi davano ascolto. Come se Finché la barca va, poi, fosse stata una canzone dolce». Capito, l’Orietta Berti da Cavriago?

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