Silvia Romano e il bisogno di silenzio

1929. Patti lateranensi. Il Regno d’Italia e la Santa Sede sottoscrivono questi accordi per regolare i rapporti tra Stato e Chiesa. Quel che accadde nel ’29, fu solo una tappa di un lungo percorso che, progressivamente, dall’editto di Costantino nel 313, cercò di definire lo spazio dedicato alla religione cristiana cattolica su suolo italico. Questo incipit per dire che dall’arrivo di Silvia Romano ad oggi si sono sentite tante critiche circa il suo posizionamento religioso. Se ne sono sentite davvero troppe e, tralasciando questioni economiche e geopolitiche, che poco ci competono, mi hanno portato però a riflettere sulla superiore civiltà che si riconosce, da parte degli italiani, al cattolicesimo. Sembra come se, tra le tre religioni del libro, la “nostra” fosse quella più contemporanea e liberale.

Ho da poco visto una serie tv su Netflix, Shtisel, sulla comunità ebraica ortodossa, ambientata a Gerusalemme. Tutta la serie tv girata in modo da trasmettere al proprio spettatore lo spirito di sottomissione alla volontà altrui, in particolar modo a quella divina, e concentrata sulla caratteristica della pazienza che il popolo di Jahweh ha dovuto sopportare per la liberazione dalla propria schiavitù in Egitto. Serie tv un po’ stereotipata, come molte delle serie tv.

Mi è venuta poi in mente la comunità Amish, cristiani protestanti, che non credono nel progresso e vivono ancora come se fossero alla fine del XIX secolo. Gli esempi potrebbero continuare…. Non voglio scendere in diatribe religiose di cui conosco spesso solo la superficie, ma quello che mi da’ fastidio è sentir definire retrogade e maschiliste delle religioni che non si basano su principi troppo differenti da quello che troviamo scritto nella “nostra” bibbia.

La fortuna che abbiamo in Europa, se così si può definire, è che nella storia del nostro continente, accanto allo sviluppo dello studio delle dottrine religiose si è affiancato quello del diritto (nato a Roma). Percorso che per certi versi non si è sviluppato negli stati che afferiscono alle altre religioni del libro. L’unica differenza è che in molti dei paesi islamici il corano corrisponde alla legge, mentre da noi non è reato se il venerdì di quaresima si mangia la carne.

Non è la religione il problema, ma l’assenza di stato di diritto, o la coincidenza di esso con i precetti sacri. Quindi per favore basta dire che Silvia Romano è islamica e che con questo atto avrebbe tradito il suo Paese. Qui vige lo stato di diritto e la nostra costituzione difende anche il diritto di culto, di credere in quel che si vuole. Non voglio scendere in particolari moralismi o nella citazione di filosofie islamiche femministe, ma diamo a Silvia il suo spazio per riprendersi da un’esperienza a noi inimmaginabile e lasciamole la libertà di aver superato quel che ha passato con gli strumenti che ha ritenuto più opportuni per la sua lotta.

Tutto il resto è rumore che non permette di sentire il suo legittimo desiderio di silenzio.

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